Carissimi lettori e appassionati
di poesia, oggi vogliamo segnalarvi l’ultima raccolta poetica di Luigi Finucci,
giovane poeta di Montegiorgio (FM), che si intitola L’ultimo uomo, edita dalla Comunication Project, casa editrice di
Recanati. Finucci ha pubblicato anche una raccolta poetica intitolata Poesie (2011) attraverso i canali dell’autopubblicazione.
Una sua lirica, “Arcobaleni”, è comparsa nell’antologia Ele-menti di Vita e la poesia “Cielo di Sarajevo” è stata finalista
al concorso nazionale Pelago 968.
In che senso è “ultimo” l’uomo di cui qui si parla? Evidentemente, non
nell’accezione categoriale del termine: l’uomo qui non è ultimo in ordine di
qualcosa. Bensì ultimo in quanto residuo, in quanto è ciò che permane quando
tutto il resto scompare, perché portato via dal tempo, dai balbettii quotidiani
delle relazioni interumane, dai giorni inutili nel loro girotondo. Si tratta
degli “spiriti solitari” che uno dei testi della silloge evoca, i quali,
spronati da “cornamuse urlanti” vagano per isole remote alla ricerca di
qualcosa che ignorano, ma di cui hanno nostalgia.
E certo trattasi della
condizione fondamentale dello scrivere, e in modo speciale dello scrivere
versi: una solitudine abitata, nella quale si è gli ultimi; nella quale, pur
nell’assenza di ogni alterità, si percepisce una presenza che riguarda
intimamente l’uomo, e che occorre narrare o cantare. Ogni esperimento
letterario – a prescindere dalla sua genealogia, dalla storia del suo autore,
dal suo valore intrinseco, dal suo portato ermeneutico – fa cenno a questa
“ultimità”, a questa solitudine metafisica in cui l’essere umano si pone in
ascolto dell’oltre. Per registrare cose meravigliose e terribili o piccoli
miracoli, “voci silenti/che carezzano l’udito”; in quell’intersezione
impercettibile ma ineludibile, tra il chiaro del giorno e l’oscurarsi notturno,
quando chi scrive è “mille volte io/ mille volte nessuno/ mille volte solo”.
Carmelo Cutolo
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